Kintsugi significa etteralmente "riparare con l'oro"ed è una tecnica di restauro ideata alla fine del 1400 da ceramisti giapponesi.
Questa tecnica consiste nel saldare insieme i frammenti dell'oggetto in ceramica, usando una mistura di lacca urushi, derivata dalla resina dell'albero, e oro zecchino in polvere o, più raramente, argento.
Nella cultura occidentale, tendiamo a gettare gli oggetti rotti, oppure si cerca di ripararli camuffando il più possibile la traccia della rottura e dell'"imperfezione".
Siamo spesso abituati infatti a vedere la rottura, l'imperfezione, le difficoltà e le cicatrici, come una debolezza, come qualcosa di negativo, legato appunto al dolore, alla vergogna, al senso di colpa e soprattutto al fallimento.
Nella cultura Orientale, invece, i momenti di crisi e di dolore, rappresentano una fonte di bellezza e le cicatrici, nel caso del Kintsugi, le crepe, vengono mostrate con orgoglio e, addirittura, impreziosite e valorizzate attraverso l'oro, come se l'oggetto riparato avesse una storia ancora più preziosa, sia esteticamente che interiormente.
Inoltre, ogni pezzo riparato diventa unico, sia per la mano dell'artigiano che lo ripara, sia per la casualità con cui la ceramica può rompersi.
L’arte kintsugi quindi, non è solo un concetto artistico ma ha profonde radici nella filosofia Zen; partendo dal wabi-sabi, visione sulla quale si basa tutto il mio lavoro, che indica una "bellezza triste" oppure, meglio ancora, "bellezza austera e, quasi malinconicamente, chiusa in sé".
I concetti racchiusi in quest'arte sono tre: mushin, anicca e mono no aware.
Mushin (senza mente) è un concetto che esprime la capacità di lasciare correre, dimenticando le preoccupazioni, liberando la mente dalla ricerca della perfezione.
Anicca si traduce con impermanenza; l’esistenza, senza eccezioni, è transitoria, evanescente e inconstante: tutte le cose sono destinate alla fine. Accettare tale condizione è avere un approccio sereno e consapevole della vita.
Mono no aware, empatia verso gli oggetti, è una malinconia triste e profonda per le cose; apprezzandone la loro decadenza si arriva ad ammirarne la bellezza.
Il Kintsugi è, quindi, una lezione di vita e ci insegna che il dolore e la sofferenza, la fragilità, anziché rimuoverli possono essere trasformati in punto di forza "ricoprendole d'oro". Imparare a sentire e riconoscere queste emozioni ci insegna che siamo vivi. Con il tempo, il dolore viene elaborato, passa e lascia un segno, ci cambia, a volte più forti, a volte più saggi.
Tutto ciò, mi ha portato alla scelta della targhetta da mettere all'entrata del mio laboratorio, eccola qua :)
Non è bellissima esteticamente, ma il suo valore rispecchia tutta la filosofia del mio lavoro.
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